Un utente italiano dimostra che il rimborso di Windows è un diritto ancor oggi, ma i soldi non gli arrivano da Microsoft. Assurde conseguenze di un monopolio.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 14-04-2005]
Ricevo da un lettore, A.S., la conferma che a distanza di sei anni nulla è cambiato nella politica commerciale di Microsoft, che continua a imporre clausole capestro: in questo caso, non a noi clienti, ma ai produttori di computer, costretti a firmare accordi che non conoscono e che li espongono a oneri che spetterebbero a Microsoft.
Faccio un rapido passo indietro: come forse già sapete, nella licenza di Windows c'è una clausola poco conosciuta (ma non per questo meno valida) secondo la quale se si rifiuta l'installazione quando si avvia per la prima volta Windows su un computer nuovo, si può restituire Windows e farselo rimborsare. La clausola compare sullo schermo durante l'installazione e il testo della licenza è disponibile solitamente in un file di nome Eula.txt.
Le ragioni per rifiutare un Windows venduto insieme al computer possono essere tante, e niente affatto piratesche. Per esempio, c'è chi rimpiazza il computer e migra il Windows che aveva sul PC vecchio (cosa ammessa dalla licenza "full"); c'è chi ha già pagato Microsoft per una site license che gli permette di installare Windows su tot PC dell'azienda. E naturalmente c'è anche chi vuole installare Linux al posto di Windows.
Il lettore ha ricevuto da Dell via e-mail un "Avviso di Ricevimento Ordine", nel quale le condizioni generali di vendita ribadiscono il dovere dell'acquirente di "agire in conformità alla licenza" del software e precisano che se non si accetta "sin dal principio la licenza del sistema operativo, se presente, Dell rimborserà il prodotto solo ove restituito nella sua integrità" (non è chiaro se per prodotto s'intende il software o il laptop, né se per principio s'intende l'inizo dell'ordine o il primo avvio di Windows).
Così A.S. contatta Dell per sapere, in ossequio alla licenza di Windows, come fare per procedere al rimborso. Superati i primi ostacoli e rifiuti, viene messo in contatto con un legale di Dell, che dichiara di non conoscere la licenza Microsoft applicata a tutti i computer venduti da Dell e si giustifica dicendo di essere dipendente di Dell e non di Microsoft. Addirittura chiede al lettore di mandare a Dell una copia della licenza (che, va detto, è un contratto legale di cui Dell è una delle parti e quindi dovrebbe conoscere piuttosto bene).
Dopo lunghe discussioni e obiezioni a pioggia, il legale di Dell suggerisce al lettore di chiedere al suo referente commerciale l'esclusione del sistema operativo dall' ordine. Il referente, però, dice che non è possibile a causa di un contratto con Microsoft.
E qui arriva la sorpresa, che ricalca la mia esperienza personale datata 1999: Dell, piuttosto che perdere l'ordine e rispettare la clausola della licenza, offre 100 euro più IVA di sconto e lascia al lettore la licenza di XP Pro. In altre parole, paga di tasca propria un importo che spetterebbe a Microsoft.
Il lettore sottolinea la cortesia e disponibilità di quasi tutto il personale di Dell, ma non può far a meno di notare che "alla fine della storia, l'unica parte che avrebbe dovuto subire una perdita (Microsoft) non è neanche stata messa a conoscenza del fatto, e ha comunque ottenuto il guadagno relativo ad una licenza che Dell ha deciso di regalarmi."
In sostanza, quindi, anche grandi produttori di computer come Dell sono costretti da contratto a versare a Microsoft un compenso per ogni computer che vendono, anche quando l'utente non desidera il prodotto Microsoft. In queste condizioni, riflette il lettore, "risulta quindi difficile pensare che il monopolio, perlomeno dal punto di vista economico, finisca. E se ciò non potrà avvenire, una buona fetta di responsabilità l'avranno proprio i produttori di hardware, che escludono a priori la possibilità di non utilizzo di Windows, come se fosse l'unica scelta possibile, imponendo di fatto l'acquisto di un prodotto non voluto."
E' proprio questo il punto: l'imposizione di un prodotto non voluto. Non voluto e anche costoso: dai dati disponibili in Rete, Windows incide sul prezzo del PC almeno per il 10% (altro che "in omaggio").
Se volete un paragone non informatico, comperare oggi un computer (esclusi i Mac e gli assemblati) è come andare al supermercato per comperare le lamette da barba e vedersi imporre l'acquisto di una specifica marca di schiuma, magari una marca che vi fa venire l'eczema, perché il supermercato è obbligato a farlo. Certo, la schiuma è inclusa nel prezzo delle lamette, ma qualcuno in fondo la paga: il produttore di lamette, che poi si rivale su di voi. Tutti ci perdono, tranne chi vende schiuma da barba. E' facile fare soldi in questa maniera.
Zeus News è in attesa di un commento di Dell Italia sul tema; nel frattempo, è inevitabile pensare che la commissione antitrust dell'UE, ora passata da Mario Monti a Neelie Kroes, dovrebbe dedicarsi a questo problema, invece di rincorrere inutili e introvabili versioni-burla di Windows prive di Media Player di cui l'utente medio giustamente non capisce il senso. L'unica consolazione è che ancor oggi, come sei anni fa, insistendo si ottiene uno sconto. Ma l'amaro rimane in bocca, perché non è chi impone che paga.
Stupisce che i produttori non si ribellino a questo stato di cose e accettino di pagare di tasca propria chi rifiuta la "tassa Microsoft" che grava su ogni PC. Probabilmente accettano supinamente perché è più conveniente accontentare i pochi rompiscatole che fanno rispettare i propri diritti che scontentare zio Bill. E se lo facessimo tutti?
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