Il giornalista Marco Travaglio accusa Massimo D'Alema a proposito dei rapporti con Roberto Colaninno al tempo dell'Opa su Telecom Italia.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 20-01-2004]
Marco Travaglio è uno dei giornalisti più popolari, tra quelli della nuova generazione: è diventato popolare grazie al suo libro su Silvio Berlusconi che, anche se fosse esagerato, deve far pensare, come ha fatto pensare, sulle vicende giudiziarie del Premier Berlusconi e sulle origini del suo patrimonio personale.
Quando Travaglio, che non è in origine un uomo di sinistra, ha partecipato alla trasmissione satirica del comico Luttazzi, il suo libro è diventato un best seller. La Casa della Libertà lo ha nominato suo nemico pubblico numero uno per le cose sacrileghe che ha detto su Berlusconi (si sa che per molti suoi fan Berlusconi è un intoccabile) ed è diventato un simbolo dell'opposizione di sinistra.
Ora cosa fa il Travaglio? Partecipa a un Convegno dei cosidetti "girotondini", cioè di quei gruppi più radicali, cappeggiati dal regista Nanni Moretti, che vogliono una sinistra di opposizione più decisa e intransigente. Travaglio critica Massimo D'Alema, Presidente dei Ds, a proposito dei rapporti che, quando era Presidente del Consiglio, tenne con Roberto Colaninno nel momento in cui questo medio imprenditore lanciava l'Opa su Telecom Italia di cui prese il controllo.
Indubbiamente questa risposta di D'Alema non è il massimo dell'eleganza, e in questo assomiglia troppo a Berlusconi che non sopporta la minima critica, e così dà ragione a chi spesso parla di "Dalemoni" per evidenziare come i due duellanti siano abbastanza simili, per lo meno, nella concezione eccessivamente personalistica del potere.
Il problema non è tanto una contesa legale o avvocatesca tra due leader politici ma il fatto che D'Alema non vuole affrontare nessuna seria critica al modo in cui il centrosinistra, allora al Governo, affrontò l'assalto della cordata guidata da Colaninno. Questi non aveva i 100.000 miliardi per comprare Telecom Italia ma ci riuscì ugualmente, scaricando un pesantissimo debito sulle spalle degli azionisti di minoranza, dei dipendenti e dei clienti di Telecom Italia.
In pratica la sinistra che avrebbe dovuto essere la più ostile a operazioni in cui la dimensione finanziaria prevale sulle esigenze industriali, disviluppo e di occupazione, di contenimento e riduzione delle tariffe e del canone, favorì colpevolmente un'operazione al limite della legalità, in cui ad arricchirsi furono pochi: le banche protagoniste italiane e straniere senza vantaggi per il Paese.
La Banca di Roma, oggi Capitalia, svolse un ruolo centrale nell'Opa di Colaninno, e, non a caso, qualche mese fa è stata proprio Capitalia (coinvolta anche nello scandalo Parmalat) a prendersi in carico una parte importante dei debiti dei Ds. Questo non getta una luce positiva sul favore con cui i Ds guardarono all'Opa, che avrebbe potuto essere bloccata da un veto del Governo che disponeva della golden share ed era ancora uno dei maggiori azionisti di Telecom Italia. Un veto che il governo francese o tedesco avrebbe messo, sicuramente, in caso di Opa sulla sua Telecom.
Non è poi un mistero che D'Alema e il suo compagno di partito Bersani, allora Ministro dell'Industria, volessero creare una nuova classe imprenditoriale più vicina al loro partito, ma il risultato anche qui è negativo: oggi Telecom Italia è di Tronchetti Provera, più vicino a Berlusconi che all'Ulivo. Per l'Ulivo ci furono solo briciole: un po' di pubblicità all'Unità, qualche contributo elettorale (regolarmente registrato) per i Ds e per l'Ulivo, ma nessuna prospettiva di sviluppo per le Tlc italiane.
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Bancopoli è iniziata con l'Opa su Telecom Italia
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