Bilancio del 2003: nel panorama dell'informazione del nostro Paese l'unica informazione che non esiste è quella economica.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 16-12-2003]
Il 2003 sarà ricordato come l'anno più nero e più triste per il capitalismo italiano e, soprattutto, per i risparmiatori e i consumatori.
All'inizio del 2003 scoppia la rivolta dei risparmiatori che hanno acquistato i bond argentini: centinaia di migliaia di italiani che vi hanno investito i risparmi di una vita, le liquidazioni, la speranza di costruire una casa, cambiare lavoro, creare un'attività per i propri figli, vivere una vecchiaia serena.
L'insovibilità del Paese latino-americano diventa chiara ed è un problema internazionale, non solo italiano: i risparmiatori italiani si chiedono perché le loro banche non siano state più prudenti, perché nessuno li abbia informati e avvisati per tempo nemmeno sui giornali economici.
Un altro Gruppo agroalimentare va in crisi: è la Parmalat della famiglia Tanzi, su cui grava come per Cragnotti, il sospetto di avere distratto capitali della società per fini personali, per conti personali in paradisi fiscali, per operazioni di immagine come le squadre di calcio.
Anche uno dei maggiori Gruppi finanziari e bancari del Paese, Capitalia cioè l'ex Banca di Roma, è coinvolta nella bufera: la magistratura apre un'inchiesta per capire se questa banca non ha piazzato ai suoi clienti titoli-spazzatura della Cirio per rientrare dei capitali che, imprudentemente, aveva affidato a Cragnotti.
Le massime autorità finanziarie del Paese, cioè il Ministro dell'Economia e il Governatore della Banca d'Italia, si rimpallano continuamente la responsabilità di non avere vigilato sufficientemente sulla situazione di queste aziende, sull'operato delle banche nei confronti dei finanziatori.
Nel mezzo di questo 2003 terribile e nero troviamo l'indagine della magistratura con l'incriminazione dei vertici della Bipop-Carire, uno dei titoli d'oro della bolla speculativa della new economy italiana: sono accusati di aver prestato troppi soldi, senza troppe garanzie a clienti "amici" che risultano anche tra gli azionisti e i manager della banca stessa.
Il caso Fiat fa scricchiolare tutto il sistema economico e industriale italiano con tutte le maggiori banche costrette a farvi fronte per non essere travolte da un fallimento dello stesso Gruppo.
Tutte queste vicende per mancanza di trasparenza, per i reati che si sarebbero consumati, per i danni ricevuti da milioni di risparmiatori e dall'intera società italiana, fanno impallidire lo scandalo Enron e quello della WorldCom americana che hanno innescato un profondo processo di ripensamento sul funzionamento della finanza americana e che ha costretto l'Amministrazione Bush, pure vicina ai grossi gruppi economici, a varare una legislazione molto dura sui falsi in bilancio e i reati di natura finanziaria.
In Italia, invece, in questo 2003 abbiamo avuto la depenalizzazione del reato di falso in bilancio ed un condono fiscale.
Qual è invece la vera differenza tra gli scandali economico-finanziari Usa e quelli italiani?
Negli Usa queste truffe, questi colossali imbrogli a danno degli azionisti minori da parte di manager e banche in combutta sono stati scoperti e smascherati da indagini compiute da organi di informazione come quotidiani economici e non, e ripresi dalle Tv private.
In Italia la stampa se ne è occupata solo quando non se poteva più fare a meno: le voci troppo insistenti sui mercati internazionali, gli avvisi di garanzia della magistratura erano partiti,i soldi erano già andati in fumo e, ormai, c'era poco da fare.
Per anni le cose sono andate avanti senza che nessuno formulasse il minimo sospetto, il minimo dubbio soprattutto negli organi di informazione. Perché?
Innanzitutto, diciamo che in Italia, da sempre, non esiste un'informazione economica indipendente: il maggiore quotidiano nazionale economico è di proprietà degli industriali, poi i maggiori quotidiani nazionali sono proprietà di banche, industrie, finanziarie.
E' così per il Corriere della Sera di proprietà di Romiti, ex patron Fiat, dell'assicuratore Ligresti e di Tronchetti Provera, ma è così anche per La Stampa che è della Fiat, per La Repubblica del finanziere De Bendetti, per il Giornale del politico ed imprenditore con mille interessi Berlusconi, perfino nel capitale azionario dell'Unita ci sono gli industriali Boglione e Marcucci.
Non esistono quelli che venivano definiti una volta gli "editori puri" cioè gente non pura in senso morale ma persone che facciano dell'editoria il proprio unico mestiere imprenditoriale, che non abbiano altri interessi nell'industria, nella finanza e, perfino, nel calcio oltre che nelle banche e nei servizi.
Gli editori puri devono pensare, soprattutto, alla qualità del loro prodotto, cioè il giornale, che sia credibile, attendibile anche se di parte perché solo vendendolo possono viverci e fare soldi mentre chi ha altri, prevalenti e più importanti interessi, si occuperò del giornale strumentalmente per portare avanti questi e non gli importerà molto se da anni, come succede in Italia, il numero dei lettori non cresce.
Negli Usa è diverso: gli editori fanno quello e solo quello, hanno amicizie e simpatie, ovviamente, politiche e negli affari ma il loro lavoro è vendre notizie, il loro padrone i lettori e per questo che gli scandali sono venuti fuori anche se il ruolo di commentatori e nalisti "prezzolati" dalle corporations c'è stato anche lì e ha tratto in inganno parecchi risparmiatori.
Il problema del nostro Paese è che anche la categoria dei giornalisti si è impigrita: è più facile fare giornalismo, con le news di Internet e i comunicati stampa, che con un serio e duro lavoro investigativo anche se bisogna capire che non è facile essere coraggiosi quando querele sporte da agguerriti studi legali e richieste di danni miliardarie paralizzano anche indagini che si rivelano poi fondate e documentate dopo anni e sentenze della magistratura di condanna per manager disonesti ed imprenditori senza scrupoli.
Finchè le cose non cambiano i risparmiatori italiani si preparino ad altre " brutte sorprese" di cui nessuno aveva avuto sentore prima.
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