A opporsi è Microsoft, in veste di paladina della privacy.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 19-10-2016]
Si trascina ormai da anni il contenzioso che vede contrapporsi da un lato il Dipartimento di Giustizia USA e dall'altro Microsoft.
Oggetto del contendere sono le email conservate sui server nella sede di Dublino di Microsoft, e che il Dipartimento di Giustizia ritiene essenziali per un'indagine su dei narcotrafficanti.
Microsoft ha sempre sostenuto di non poter consegnare quei dati agli investigatori americani, dato che si trovano su suolo straniero: si capisce che la questione riguarda non soltanto la privacy degli utenti, ma anche le relazioni internazionali e il punto fino a cui può spingersi un governo nel perseguire un crimine.
Lo scorso luglio, una commissione composta da tre giudici americani aveva dato ragione a Microsoft: in base alla legge statunitense e in particolare allo Stored Comunications Act, le forze dell'ordine statunitensi possono sequestrare tutti i server che vogliono sul suolo patrio, ma non possono fare nulla se detti server si trovano all'estero.
Dopo questa sentenza, il presidente di Microsoft, Brad Smith, aveva dichiarato con soddisfazione che si trattava di «una grande vittoria per la protezione del diritto alla riservatezza», con la quale diventava chiaro che il governo americano non aveva l'autorità di imporre i propri mandati di perquisizione unilateralmente oltre i confini nazionali.
«Come multinazionale siamo sempre stati convinti» - diceva ancora Smith - «che, se vogliamo che le persone di tutto il mondo si fidino della tecnologia che usano, è necessario che le loro informazioni personali siano protette dalle leggi dei loro Paesi».
Tutto ciò non ha scalfito la determinazione del Dipartimento di Giustizia, che è tornato alla carica chiedendo a una corte federale d'appello di rivedere la sentenza di luglio.
Secondo i procuratori federali, Microsoft non ha il diritto legale di difendere le email dei propri clienti, ma agisce così soltanto spinta dal desiderio di non danneggiare i propri affari.
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Essi affermano di aver «considerato attentamente» l'affermazione di Microsoft secondo la quale l'azienda si è definita «custode» della riservatezza degli utenti.
«Questo argomento non regge» - sostiene il governo americano - «perché è Microsoft che sceglie dove conservare i dati, e non il cliente (in realtà, gli utenti nemmeno sanno dove siano conservati i dati), e perché sia Microsoft che i giudici hanno riconosciuto che Microsoft consegnerebbe immediatamente al governo ogni email dei propri utenti se scegliesse di conservare quei dati negli Stati Uniti».
«Non può essere vero che l'obiettivo delle disposizioni ufficiali è la riservatezza, ma la protezione della riservatezza si basa unicamente sulle decisioni di un'azienda privata guidata dalla ricerca del profitto, senza che il titolare dell'account abbia possibilità di scelta o venga consultato» aggiungono ancora i procuratori del governo americano.
La decisione di luglio, dando ragione a Microsoft, minerebbe le attività di prevenzione e repressione delle attività criminali, anche a livello di sicurezza nazionale, senza curarsi in realtà della privacy degli utenti.
La corte d'appello ha però già fatto notare che, al di là delle argomentazioni, gli investigatori americani potrebbero comunque ottenere le email conservate in Irlanda appellandosi a un trattato di mutua assistenza giudiziaria e chiedendo l'emissione di un mandato locale alle autorità irlandesi.
Dato che la corte d'appello ha la facoltà di scegliere di non rispondere alla richiesta del governo, la questione potrebbe anche arrivare fino alla Corte Suprema.
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