Continua ad aumentare il consumo del suolo italiano.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 07-05-2015]
Nonostante la crisi, la cementificazione del territorio italiano non accenna a fermarsi, con le inevitabili conseguenze a partire dall'ormai tristemente conosciuto dissesto idrogeologico.
Ad affermarlo è il Rapporto sul Consumo di Suolo 2015 stilato dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), che si apre con un dato preoccupante: quasi il 20% delle coste italiane sarebbe «perso ormai irrimedia- bilmente».
Per la precisione si tratta del 19,4% del suolo compreso tra 0 e 300 metri di distanza dalla costa: terreno che è stato cementificato o, come scrive l'Ispra, «impermeabilizzato».
Il Rapporto dell'Ispra è stato presentato a Milano in occasione del convegno Recuperiamo terreno organizzato all'interno di Expo 2015; in esso vengono presentati dati nuovi e formato un quadro nazionale che analizza il territorio a ogni livello.
Si scopre così che nel corso del 2014 l'Italia ha perso altreo terreno, facendo passare al 7% del totale il territorio «direttamente impermeabilizzato»: dagli anni 50, la crescita è stata del 158%.
«Le nuove stime confermano la perdita prevalente di aree agricole coltivate (60%), urbane (22%) e di terre naturali vegetali e non (19%)» scrive l'Ispra. «Stiamo cementificando anche alcuni tra i terreni più produttivi al mondo, come la Pianura Padana, dove il consumo è salito al 12%».
La responsabilità di tutto ciò è da ascrivere in particolare alle periferie urbane e le zone a bassa densità, nate e sviluppatesi a causa di uno sviluppo disordinato delle città.
L'Ispra si spinge poi a stilare una classifica delle regioni più "consumate", nella quale al primo posto ci sono Lombardia e Veneto a pari merito con il 10% del territori impermeabilizzato; se ci si limita a considerare la copertura del territorio entro i 300 metri dalla costa, la maglia nera spetta alla Liguria, con una percentuale del 40% di territorio cementificato: fenomeno che, immaginiamo (dato che l'Ispra non lo dice), sarà stato influenzato anche dalla particolare conformazione delle regione, stretta tra le montagne e il mare.
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È necessario a questo punto fare una precisazione. Alcuni dati sono effettivamente negativi: l'Ispra spiega che sono stati «spazzati via [ossia coperti con edifici o infrastrutture, NdR] 34.000 ettari all'interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi. Il cemento è davvero andato oltre invadendo persino il 2% delle zone considerate non consumabili (montagne, aree a pendenza elevata, zone umide)». Altri però vanno compresi in base al particolare modo di esprimersi dell'Istituto stesso.
Se tutti, con buona probabilità, sono contrari a una cementificazione selvaggia che non rispetti un sano equilibrio tra aree naturali e aree antropizzate (e che non pensi di andare a costruire in aree protette, o creando "ecomostri" sulle coste o sulle montagne e via di seguito), per l'Istituto un suolo «degradato» è in realtà qualsiasi zona che non sia lasciata «in condizioni naturali»: «Il concetto di consumo di suolo deve essere definito come una variazione da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato)» si legge sul sito ufficiale.
Da questa definizione si capisce come mai «le strade rimangano una delle principali cause di degrado del suolo, rappresentando nel 2013 circa il 40% del totale del territorio consuimato».
Dato che «la rappresentazione più tipica del consumo di suolo è data dal crescente insieme di aree coperte da edifici, capannoni, strade asfaltate o sterrate, aree estrattive, discariche, cantieri, cortili, piazzali e altre aree pavimentate o in terra battuta, serre e altre coperture permanenti, aeroporti e porti, aree e campi sportivi impermeabili, ferrovie ed altre infrastrutture, pannelli fotovoltaici e tutte le altre aree impermeabilizzate, non necessariamente urbane» verrebbe da concludere che soltanto demolendo ogni edificio e ogni strada e ogni infrastruttura e tornando a vivere nelle caverne l'Ispra potrebbe dirsi soddisfatto, perché in tal modo il suolo non sarebbe «degradato».
L'ostinazione a vivere in case porta invece a conseguenze che l'Ispra ha valutato facendo una prima stima della «variazione dello stock di carbonio dovuta al consumo di suolo»: «In 5 anni (2008-2013), sono state emesse 5 milioni di tonnellate di carbonio, un rilascio pari allo 0,22% dell'intero stock immagazzinato nel suolo e nella biomassa vegetale nel 2008» fa sapere l'Istituto.
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