Cassazione: i blog non sono testate giornalistiche e non devono essere registrati in Tribunale. Ma attenzione al contraltare del problema: diritto all'oblio, diritto all'identità personale, diritto alla privacy.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 12-05-2012]
Finalmente è uscita l'attesa sentenza della Cassazione sul caso Carlo Ruta, pronuncia che ha coinvolto indirettamente anche le sorti di milioni di blogger italiani.
La Corte è stata chiamata a decidere su una delle questioni più delicate da quando esiste il web 2.0: se, cioè, tutti quei blog, caratterizzati da periodicità degli aggiornamenti e dalla comunicazione al pubblico, debbano essere equiparati a una normale testata giornalistica e, quindi, soggetti alla legge sull'editoria (Legge n. 47 del 1948).
Con la conseguenza, tutt'altro che irrilevante, per cui ogni blog, di qualsiasi dimensione esso sia, dovrebbe dotarsi di un Direttore Responsabile e, con la necessaria registrazione in tribunale, subire i balzelli che ciò comporta. Costi, invero, che il 90% dei milioni di "editori di sé stessi" del web non potrebbero mai sostenere.
L'equiparazione tra la stampa tradizionale e quella telematica avrebbe significato non solo una censura di fatto all'informazione indipendente, ma anche e soprattutto un tracollo della cultura multimediale.
L'attesa era particolarmente sentita anche per via dei due precedenti gradi di giudizio, entrambi conclusisi con una condanna nei confronti di Carlo Ruta, giornalista processato appunto per "stampa clandestina", non avendo registrato in tribunale il suo piccolo blog "accadeinsicilia". Il blog si si occupava guarda caso di fatti di criminalità organizzata siciliana.
A fine giornata, la Corte, dopo una lunga camera di consiglio, ha emesso un provvedimento di assoluzione perché "il fatto non sussiste", cassando "senza rinvio". Ciò significa che il processo finisce qua.
Anni di dubbi interpretativi vengono definitivamente messi a tacere. E, per quanto nel nostro ordinamento i precedenti non siano vincolanti, le decisioni della Cassazione hanno un'autorevolezza tale da farci ritenere che un punto (e virgola) sia stato messo sulla questione.
Del resto, una cosa è assai chiara: la legge parla chiaro e impone la registrazione solo al giornale stampato, senza parlare di blog. L'interpretazione analoga è impossibile in questo caso poiché il nostro ordinamento vieta tale procedimento deduttivo quando possa portare a una condanna della persona imputata.
Il discorso, che a chi ci legge proprio dal web può sembrare semplicistico e normale per uno stato democratico, non è poi così scontato. Anzi. Il controaltare del problema si chiama "diritto all'oblio", "diritto all'identità personale", "diritto alla privacy".
In genere, gli italiani si accorgono di un problema solo quando ci passano di persona. Mi è capitato di difendere persone lese nella reputazione o nel diritto all'oblio, da sconsiderate condotte di autori di blog, che tuttavia rimanevano nell'anonimato, sconosciuti e irreperibili almeno in proporzione ai costi e ai vantaggi di un normale processo civile.
Dover fare un'azione contro questi, a meno di dover ricorrere agli ingenti onorari di un avvocato penalista, conduce spesso i cittadini a rinunciare ai propri diritti.
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