Nestlé uccide i bimbi del terzo mondo col latte in polvere

Questa indagine antibufala non è molto tecnologica o Internettiana, ma riguarda comunque un appello che circola in Rete (e fuori Rete) da anni ed è un'ottima dimostrazione di come Internet ci consenta un accesso senza precedenti alle informazioni che ci servono per capire cosa fare e quali scelte adottare. E' anche un'indagine che avevo promesso di completare mesi fa e che per una cosa o per l'altra finiva sempre in parcheggio. Finalmente mi sono schiodato, ed eccola qua.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 14-11-2002]

Ci sono numerosissimi siti (come Tmcrew, giusto per citarne uno) che invitano a boicottare la Nestlé perché la sua campagna di promozione del latte artificiale starebbe causando la morte di tanti bambini nei paesi sottosviluppati, scoraggiando l'allattamento al seno.

C'è un fondamento di verità dietro questa accusa, ma come spesso accade l'appello al boicottaggio non fotografa completamente la realtà, che è infatti assai più complessa di un semplicistico "Nestlé uccide i bimbi spacciando latte in polvere". Prima di decidere se aderire o meno all'iniziativa di boicottaggio, possono farvi comodo alcuni fatti che ho raccolto in questa piccola indagine, per la quale il termine frivolo antibufala è decisamente stonato.

L'accusa in dettaglio

Il ragionamento proposto dai siti che promuovono il boicottaggio è grosso modo questo: Nestlé produce latte in polvere per neonati, e per aumentarne le vendite nei paesi poveri usa metodi scorretti per indurre le neomamme a non allattare al seno e adottare invece il suo latte in polvere. Fra questi metodi scorretti ci sono cartelloni pubblicitari in cui l'allattamento artificiale è presentato sistematicamente come moderno e civile (mentre quello al seno è presentato come cosa da terzo mondo), confezioni omaggio che durano quanto basta per far andar via il latte naturale della neomamma (che a quel punto non ha più scelta), pressioni psicologiche (persone che si spacciano per medici o infermieri e accostano le mamme elogiando le virtù del "progredito" latte artificiale), e così via.

Il problema è che il latte in polvere costa più di quanto possano permettersi gran parte delle mamme di questi paesi, che pertanto tendono a diluirlo oltre la dose corretta. Di conseguenza, il neonato non viene nutrito a sufficienza, senza contare che il latte artificiale non è nutriente e ricco di anticorpi quanto quello naturale. C'è di peggio: siccome il latte artificiale va diluito con acqua, e l'acqua sterile è difficile da trovare, le mamme finiscono per preparare il latte artificiale usando acqua sporca o infetta, con gravissimo rischio per la salute del neonato.

In altre parole, incoraggiando l'allattamento artificiale si rifila ai neonati latte sintetico, oltretutto diluito e preparato con acqua contaminata. Un veleno, insomma. Un veleno di cui è responsabile Nestlé. Pertanto, sostiene l'appello, è importante fare pressioni su Nestlé affinché cessi questa politica e rinunci a vendere il latte in polvere nei paesi poveri. L'unico modo per esercitare queste pressioni è il boicottaggio, da parte di noi consumatori occidentali, dei suoi prodotti.

Che cosa dice l'UNICEF

Per chiarire come stanno davvero le cose ho cercato fonti super partes, e mi sembra che l'UNICEF possa avere questo ruolo. Sul sito dell'UNICEF viene pubblicato periodicamente un rapporto sulla condizione dei bambini nel mondo intitolato Progress of Nations, la cui edizione 1997 contiene un articolo molto eloquente sull'argomento dell'allattamento artificiale.

Per correttezza, prima di proseguire devo precisare che il rapporto UNICEF viaggia accompagnato da un'avvertenza che specifica che le opinioni presentate sono quelle dei suoi autori e non rispecchiano necessariamente le posizioni ufficiali dell'organizzazione, ma penso sia ragionevole presumere che difficilmente l'UNICEF pubblicherebbe documenti che contrastino nettamente con le proprie posizioni.

L'articolo al quale mi riferisco si intitola Putting babies before business, del reverendo Simon Barrington-Ward, ed è reperibile qui. Cito e traduco:

"L'Organizzazione Mondiale della Sanità e l'UNICEF consigliano che i neonati siano alimentati esclusivamente con latte materno (nient'altro, nemmeno acqua -- n.d.A) per i primi sei mesi circa della loro vita. A livello mondiale, si stima che la riduzione dell'allattamento artificiale e un miglioramento delle pratiche di allattamento al seno potrebbero salvare 1,5 milioni di bambini l'anno".

Il rapporto conferma le asserzioni dei boicottatori: in molti paesi il latte artificiale viene promosso scorrettamente come "superiore" al latte materno, e le campagne pubblicitarie hanno un effetto notevole:

"Non è una coincidenza che le percentuali di allattamento al seno siano alte in paesi come il Burundi e il Ruanda, dove il marketing è scarso".

"Le persone che vivono nei paesi poveri vengono spesso convinte dalla pubblicità che l'allattamento artificiale sia la cosa moderna da fare. Avendo vissuto in Nigeria e viaggiato in gran parte dell'Africa e dell'Asia, posso riferire che i fabbricanti di latte artificiale usano sistematicamente immagini di medici bianchi circondati da neonati neri o asiatici per promuovere i propri prodotti come la maniera moderna, sana, 'da primo mondò di crescere un bimbo. E' un messaggio molto potente e persuasivo, veicolato da immagini di modernizzazione".

Anche la tattica delle confezioni omaggio è confermata:

"I campioni gratuiti, specialmente quelli dispensati dagli operatori sanitari, sono una forma di promozione particolarmente insidiosa. Una mamma può passare facilmente dall'allattamento al seno a quello artificiale, ma il contrario è tutt'altra faccenda. Il neonato, dopo essere stato nutrito con campioni gratuiti di latte artificiale anche soltanto per qualche giorno, si abitua alla tettarella e tende a rifiutare il seno. Intanto che il neonato beveva latte artificiale, la produzione materna di latte è calata".

L'articolo segnala inoltre che esiste un codice di comportamento per la vendita di sostituti del latte materno, denominato International Code of Marketing of Breast-milk Substitutes (disponibile per esempio qui), redatto dall'UNICEF e dall'OMS, adottato nel 1981 dall'Assemblea Mondiale della Sanità e sottoscritto dai produttori di latte artificiale. Questo Codice prevede esplicitamente di proteggere l'allattamento al seno come "un modo senza rivali di fornire il nutrimento ideale per la crescita e lo sviluppo salutare dei bambini".

Il Codice è soltanto una raccomandazione, sia pure autorevole, che spetta agli stati membri convertire in legge e far rispettare. C'è una tabella UNICEF, ahimè non recentissima (1997), che elenca quali paesi poveri (e ricchi) hanno adottato il Codice e in che misura lo hanno fatto. Fra gli scopi di questo Codice c'è quello di garantire che i sostituti del latte materno non vengano commercializzati o distribuiti in maniera da interferire con la protezione, la promozione e l'assistenza all'allattamento al seno.

Insomma, non vi è dubbio che il latte artificiale sia peggiore di quello naturale e che venga effettivamente propagandato scorrettamente nei paesi del Terzo Mondo (e probabilmente anche in molti di quelli del primo) asserendo che è migliore del latte materno, proprio come sostengono i boicottatori.

Ma non è soltanto colpa di Nestlé...

L'appello al boicottaggio parte dunque da una premessa validissima, ma si perde quando propone di punire Nestlé tramite il boicottaggio. Infatti un rapporto citato nel testo UNICEF e intitolato Cracking the Code dimostra che ben 32 società hanno violato sistematicamente il Codice che avevano sottoscritto. Fra queste aziende c'è sì Nestlé, ma ci sono anche molti altri nomi più o meno conosciuti: Gerber, Mead Johnson, Milupa, Heinz, Nestlé, Nutricia, Wyeth, Chicco, Johnson & Johnson, Abbott, Snow, Hipp, per esempio. Quindi limitare il boicottaggio alla sola Nestlé è scorretto, anche se i boicottatori si giustificano sostenendo che Nestlé è quantitativamente la principale colpevole e che se la si convince a mettersi in regole gli altri pesci piccoli seguiranno a ruota.

Un aspetto interessante del rapporto è che le pratiche scorrette non sono limitate al terzo mondo, ma avvengono anche in Polonia, per esempio, e persino in Italia. Chiaramente, in un paese abbiente promuovere il latte artificiale è eticamente meno grave che in un paese povero, dato che la mamma "del primo mondo" ha facile accesso sia ad informazioni obiettive da altre fonti, sia ad acqua pulita, e quasi sicuramente può permettersi il latte artificiale in termini economici.

L'altra considerazione importante è che parte della colpa spetta anche ai governi che non fanno le leggi. Per esempio, nel 2001 il Brasile introdusse leggi severe che vietano di usare immagini di bambini, biberon o giocattoli nelle confezioni del latte artificiale e degli omogeneizzati e di apporre chiare avvertenze del fatto che questi prodotti non vanno utilizzati prima dei sei mesi di vita. Gerber e Nestlé furono le prime aziende ad adeguarsi.

...e non tutto il latte (artificiale) vien per nuocere

Allo stesso tempo, il latte artificiale non va demonizzato e non bisogna fustigare chi lo preferisce. Come dice l'articolo UNICEF, "nessuno vuole imporre l'allattamento al seno alle mamme. Nei casi in cui le donne hanno le risorse necessarie per permettersi latte artificiale nelle quantità adeguate, acqua pulita e combustibile per sterilizzare biberon e tettarelle, il latte artificiale può essere un'alternativa adatta per chi non desidera allattare al seno".

E, aggiungerei io per esperienza personale, a volte l'allattamento al seno non si può proprio fare. Non tutte le mamme hanno il latte e non tutti i bambini si attaccano al capezzolo. Nel caso di gravidanze gemellari o addirittura multiple, inoltre, c'è un limite pratico evidente, sia in termini di produzione, sia in termini di punti di erogazione, per così dire. In casi come questi, il latte artificiale è utilissimo.

Quando è il latte materno a uccidere

Occorre fare attenzione a non scivolare nell'eco-fondamentalismo che spesso fa da sottofondo a questi appelli. Anche i processi naturali possono far male, e l'allattamento al seno non fa eccezione. Nella loro foga di boicottare la multinazionale di turno, molti dimenticano di considerare che l'allattamento naturale trasmette l'AIDS. Se la madre è infetta e allatta al seno, può trasmettere l'AIDS al neonato. In casi come questi, tragicamente diffusissimi in molti paesi poveri, l'allattamento al seno è un pericolo e quello artificiale, fatto correttamente, sarebbe la salvezza.

Su questo aspetto, contestato da vari siti che promuovono il boicottaggio della Nestlé, non vi è ragionevole dubbio. Usando Google con le parole-chiave "AIDS transmission breastfeeding" saltano fuori infatti numerosissimi documenti di indiscussa autorevolezza in proposito. Per esempio c'è lo studio pubblicato dalla rivista medica di prim'ordine Journal of the American Medical Association (JAMA) e intitolato HIV Transmission Through Breastfeeding - A Study in Malawi, Vol. 282, pp. 744-749, 25 agosto 1999, da cui cito: "La trasmissione dell'HIV attraverso il latte materno è stata documentata da numerosi studi, e l'HIV è stato trovato nei campioni di latte delle donne infette da HIV".

Gli studi ai quali si fa riferimento sono raccolti in Postnatal transmission of human immunodeficiency virus type 1 from mother to infant: a prospective cohort study in Kigali, Rwanda, pubblicato dal New England Journal of Medicine, 1991;325:593-598. Nell'articolo del JAMA si parla di 673 neonati, nati sieronegativi da madri sieropositive: di questi, ben 47 hanno contratto l'HIV tramite il latte materno.

Non si sta parlando, quindi, di casi rari o sporadici, e se è vero che spesso l'AIDS viene trasmesso durante il parto, non vi è dubbio che si possa contrarre l'AIDS anche dal latte materno. Può dunque capitare che un bimbo non si infetti durante il parto e contragga la malattia alla prima poppata. Brutto affare, quindi: l'allattamento naturale facilita la trasmissione dell'AIDS, quello artificiale (con acqua non sterile) facilita la trasmissione di altre malattie. Non c'è scampo per questa povera gente.

Il boicottaggio non è l'unica strada

Visto il numero di aziende coinvolte (ciascuna a sua volta ramificata in mille sottomarchi), un boicottaggio davvero efficace può essere estremamente arduo. Per esempio, se comperate l'acqua Vittel, state comunque dando soldi a Nestlé o no? Quanti altri prodotti di uso quotidiano sono in qualche modo collegati a queste grandi aziende ma venduti sotto altri marchi? Riusciremo veramente ad andare a fare la spesa con una lista interminabile di prodotti da non comperare? Prima di intraprendere questa strada, conviene far bene i conti.

L'appello anti-Nestlé sostiene che il boicottaggio sia l'unica arma che possa convincere le multinazionali del settore a comportarsi bene. Esistono tuttavia soluzioni alternative o, meglio ancora, complementari.

La prima è l'offerta, eventualmente abbinata al boicottaggio, di un aiuto tangibile (soldi, insomma) alle associazioni umanitarie che operano nei paesi poveri: una donazione alla Croce Rossa o Médecins Sans Frontières o all'UNICEF, per esempio. Una donazione affinché possano fare corretta informazione, educare e contrastare la propaganda pubblicitaria e anche pagare il latte artificiale a chi non se lo può permettere ma ne ha bisogno, come le tante mamme colpite da AIDS, che il boicottaggio da solo non aiuterebbe. Qui non si tratta di bandire il latte artificiale, ma di trovare il modo di insegnare a usarlo quando serve e in modo corretto.

La seconda è la lettera di protesta. Se aderite al boicottaggio, potete renderlo più efficace informandone periodicamente per iscritto le varie società coinvolte. Il boicottaggio silenzioso (non accompagnato da una lettera di protesta) è più difficile da rilevare per le aziende coinvolte, perché può confondersi con le altre variazioni nelle vendite derivanti da tanti altri fattori commerciali.

Anche se decidete di non boicottare, la lettera di protesta è comunque uno strumento di pressione importante. A un'azienda fa sempre effetto trovarsi nella buca delle lettere una catasta di posta di potenziali clienti indignati che promettono di non comperare più i suoi prodotti. Le permette di rendersi conto che la protesta non è appannaggio di quattro barboni (come spesso dimostrano di pensare) ma è assai più vasta.

Lo so che sono soluzioni più impegnative e costose del semplice boicottaggio silenzioso. E' facile mettersi la coscienza a posto dicendo "non compro il Nescafé, dunque aiuto il Terzo Mondo" e chiudere la faccenda. Troppo facile, e le soluzioni facili spesso sono poco efficaci: dopotutto, il primo boicottaggio di cui ho trovato traccia risale addirittura al 1977, eppure le violazioni continuano. Forse ci vuole un approccio su più fronti o qualche gesto più tangibile.

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Paolo Attivissimo

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Commenti all'articolo (ultimi 5 di 11)

-messaggio cancellato
11-2-2018 12:04

Ummm.... Succede anche in italia.
28-7-2017 23:43

Serena
Caro Paolo, riguardo a: "Quanti altri prodotti di uso quotidiano sono in qualche modo collegati a queste grandi aziende ma venduti sotto altri marchi? Riusciremo veramente ad andare a fare la spesa con una lista interminabile di prodotti da non comperare? Prima di intraprendere questa strada, conviene far bene i conti."sono d'accordo... Leggi tutto
1-1-2005 15:01

Massimo
Il boicottaggio NON è l'unica soluzione Leggi tutto
12-5-2003 23:53

Raffaella Gilardoni
a proposito della Nestlè Leggi tutto
26-2-2003 17:39

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