Un'Opa da parte del gigante francese ucciderebbe la nostra Telecom oberata dai debiti, checché ne pensi Renzi.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 12-03-2016]
«Galeotta fu Venezia» si potrebbe dire a proposito della "benedizione laica" impartita proprio nel capoluogo veneto da Matteo Renzi all'ipotesi, ormai non più fantaeconomica, di una fusione tra la francese Orange e Telecom Italia.
Sebbene poi il Presidente del Consiglio abbia precisato le proprio affermazioni, sostenendo che parlava di investimenti internazionali in generale e non del caso particolare, l'uscita di Renzi è parsa mettere un'ipoteca molto seria sul futuro di Telecom, già oggi soggetta al controllo degli azionisti di maggioranza della Vivendi di Vincent Bolloré.
In caso di fusione con Orange a Bolloré, amico e socio di affari di Silvio Berlusconi, si sostituirebbe lo Stato francese, oggi azionista di maggioranza di France Télécom-Orange.
Renzi parrebbe voler concedere quel consenso che nel 1998 Massimo D'Alema, allora Presidente del Consiglio, non concesse a Franco Bernabè per la fusione con la teutonica Deutsche Telekom: allora la preoccupazione era non passare il controllo di Telecom Italia a uno Stato straniero.
Ma se Bernabè è davvero il "consulente ombra" di Renzi, come si vocifera, si capisce come mai il governo di oggi la pensi tanto diversamente da quello di ieri.
Orange è un'azienda europea e Renzi con questa mossa conferma di essere un europeista, sia pure critico. Nonostante la ripresa dei venti nazionalistici in Europa e in Italia non può dichiararsi contrario ad una francesizzazione di Telecom, anche per non scontentare un alleato importante nell'opposizione alle rigidità tedesche in tema di bilanci e austerity.
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Il vero problema però non è tanto il colore della bandiera che deve sventolare su Telecom Italia quanto quello dei delicatissimi equilibri finanziari su cui Telecom stessa si regge come un acrobata sul filo.
Una nuova Opa a cui l'azienda fosse obbligata farebbe saltare letteralmente il banco: nuovi debiti si aggiungerebbero a un debito duro e quasi inattaccabile, del valore di circa 30 miliardi di euro e che finora ha frenato non poco lo sviluppo della banda larga in Italia, l'occupazione in Telecom e la crescita complessiva del Paese.
È questa precarietà finanziaria di Telecom, un gigante dai piedi di argilla, che dovrebbe preoccupare l'eterno ottimista Renzi.
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