Chiudere il tracker Torrent è il primo passo per trasformare Internet in un "distributore automatico di intrattenimento".
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 17-02-2009]
Il processo a The Pirate Bay è iniziato e, come prevedibile, sta attirando un notevole interesse.
Le posizioni dei due contendenti sono chiare. L'accusa sostiene che i gestori del sito si siano arricchiti facilitando la condivisione di file protetti da coypright; la Baia va pertanto chiusa e i quattro accusati devono pagare risarcimenti milionari.
L'avvocato delle major, Monique Wasted (un nome che pare un segno: in inglese, Wasted significa "sprecato"), sostiene che "non si tratta di un processo politico né di un'operazione volta a chiudere una biblioteca pubblica o impedire l'attività di file sharing in quanto tale. Si tratta di un processo contro quattro individui che si sono arricchiti attraverso film, musica e home video protetti da copyright".
Anche Google, dopotutto, indicizza pagine che rimandano a contenuti protetti, ma nessuno si sogna di fargliene una colpa.
I quattro smentiscono poi categoricamente l'accusa di essersi arricchiti tramite la pubblicità e le donazioni. Le major vogliono milioni di corone di risarcimento? Ebbene - spiega Peter Sunde - "Non importa se chiedono diversi milioni o un miliardo. Non siamo ricchi e non abbiamo soldi per pagarli".
La questione, in realtà, è più ampia di quanto appaia, nonostante quanto dice la Wasted.
Si tratta dell'opposizione tra chi considera la Rete un luogo aperto di scambio, dove la responsabilità di ciò che viene scambiato è dei singoli e non di chi mette a disposizione i mezzi per farlo, e chi vuole trasformare Internet in un "distributore automatico di intrattenimento" (come dicono i quattro di The Pirate Bay), riproponendo il modello televisivo, discografico o cinematografico in cui solo uno (o comunque un numero limitato di soggetti) produce e gli altri comprano.
Se la portata di questo processo è più ampia del singolo caso, non bisogna nemmeno farne un dramma. Da una parte gli accusati sono sicuri di vincere ("Già una volta non sono riusciti a fermarci. Lasciate che falliscano di nuovo" ha affermato Gottfrid Svartholm Warg durante una conferenza stampa); dall'altra, anche se dovessero perdere non saranno i giganti dei media a trionfare.
Se la vicenda di Napster insegna qualcosa, infatti, è che non è più possibile tornare indietro. Quando Napster morì, allora sembrava che fosse giunta la fine per il peer to peer. Invece il file sharing è più diffuso che mai; semplicemente ora usa canali diversi.
Tornando alla responsabilità diretta della Baia, l'avvocato di Sunde e soci spiega come il sito offra "un servizio che può essere usato sia in modo legale che in modo illegale. L'attività di Pirate Bay può essere paragonata alla fabbricazione di automobili che possono essere guidate oltre i limiti di velocità".
Con la differenze che tramite il filesharing non muore nessuno, nemmeno se si superano i limiti. Le major piangono miseria e lamentano perdite incalcolabili - che non si possono calcolare perché non sono reali - ma ormai anche i sassi sanno che non è a causa del peer to peer che la gente compra meno.
Anzi, a volerla dire tutta la condivisione fa persino bene alle vendite, a patto di non arroccarsi su un modello non più adatto alla situazione attuale. Ma questa è una cosa che può capire solo chi accetta di cambiare la cosa più importante: l'ottica in base alla quale vede gli utenti come polli da spennare.
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