Dietro a un numero può nascondersi un'infinità di utenti: l'indirizzo IP non è una prova sufficiente a individuare i pirati.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 17-05-2012]
Cambiano i Paesi e i sistemi legali, ma le tattiche adottate dalle associazioni dei produttori di contenuti per perseguire i presunti pirati sono sempre le stesse.
Quale prova del fatto che si sta cercando di assicurare alla giustizia un pirata e non perseguitando un innocente, le major generalmente forniscono un indirizzo IP (dal quale sarebbe avvenuta la violazione) e un timestamp, ossia l'indicazione dell'ora e della data.
In base a queste informazioni, il giudice dovrebbe garantire il mandato per ottenere dall'ISP titolare dell'indirizzo IP le informazioni per risalire al titolare dell'abbonamento.
Attenzione: al titolare dell'abbonamento, non a chi ha compiuto la violazione. Il problema, infatti, è tutto qui come il giudice americano Gary Brown non ha mancato di rilevare respingendo le cause intentate da una casa cinematografica.
Secondo il giudice Brown, semplicemente un indirizzo IP non può indicare una persona.
«L'assunzione in base alla quale una persona che paga per l'accesso a Internet in un determinato luogo è lo stesso individuo accusato di aver scaricato un singolo film sessualmente esplicito è debole, e lo è diventata sempre di più con il passare del tempo» ha spiegato il giudice, riferendosi al caso che aveva in esame.
Un indirizzo IP può infatti far riferimento a un numero imprecisato di computer, che a loro volta possono essere utilizzati da diverse persone.
Inoltre, la diffusione delle reti wireless rende ancora più difficile, se non impossibile, passare dall'indirizzo a una singola persona.
«Se una decina di anni fa le reti senza fili domestiche quasi non esistevano, ora il 61% delle case americane ha una connessione wireless. Come risultato, un singolo indirizzo IP generalmente è utilizzato da diversi dispositivi che, diversamente dai telefoni tradizionali, possono essere utilizzati simultaneamente da diversi individui» ha aggiunto il giudice Brown.
Nel caso di reti Wi-Fi non protette, poi, chiunque, anche un passante, potrebbe utilizzare la connessione per scaricare film o altro materiale illegalmente; e anche nel caso di reti protette non è impossibile aggirare le misure di sicurezza.
Pertanto, il giudice Brown conclude che l'indirizzo IP non può essere utilizzato per identificare una persona, né tantomeno per dare il via a una causa per violazione di copyright.
A questa decisione fa eco quella di un giudice californiano, il quale ha stabilito che un indirizzo IP non è sufficiente nemmeno per identificare al di là di ogni ragionevole dubbio un determinato luogo.
In questo modo ha fatto cadere 15 cause intentate contro utenti di BitTorrent. L'accusa - come di recente accade sempre più spesso - aveva utilizzato un servizio di geolocalizzazione per abbinare gli indirizzi IP a dei luoghi fisici, così da assicurarsi che il procedimento venisse portato avanti all'interno della giurisdizione della corte cui si era rivolta.
Tuttavia, tali servizi per loro stessa ammissione non sono affidabili al 100% e, se c'è anche una minima possibilità di errore, il giudice chiamato a decidere ha stabilito che non si possa essere certi di rientrare nella giurisdizione corretta.
Queste due sentenze, insieme, possono far crollare l'intero castello di cause che da due anni a questa parte i detentori del copyright stanno intentando negli USA contro gli utenti dei sistemi di condivisione dei file.
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