A cinquant'anni dalla sua morte, il suo sogno per molti versi rimane sempre attuale.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 01-03-2010]
Il 27 febbraio 1960 moriva Adriano Olivetti, l'uomo che aveva fatto della sua piccola industria - alla periferia dell'Italia, nel suo Canavese - l'impresa più innovativa del mondo, la prima industria informatica, quella che perfino l'IBM doveva inseguire.
Adriano Olivetti è l'industriale che aveva fatto del design e della tecnologia un tutto inscindibile, quasi uno Steve Jobs degli anni '60; fu l'urbanista avveniristico, l'ideatore della democrazia dei quartieri e il primo a parlare in Italia di federalismo, il pioniere di forme moderne di organizzazione del lavoro e di coinvolgimento degli operai nella gestione delle aziende.
Oggi cosa è rimasto dell'utopia olivettiana? Il federalismo sembra lontano dalla sua concezione solidale per riflettere più egoismi locali conditi da razzismo. Ma soprattutto l'Italia non ha più una propria industria informatica.
Eppure il modo di fare impresa, tutto appiattito sulla finanza, sulla delocalizzazione, tutto chiuso solo nell'orizzonte dei profitti a brevissimo termine e dei bonus milionari per i manager, sta mostrando tutti i suoi limiti proprio nella più grave crisi finanziaria ed economica che l'Occidente vive dal 1929.
Questo modo di fare impresa, così lontano dall'utopia olivettiana dell'impresa radicata nel territorio, integrata con un mondo ancora rurale, basata sulla cescita e la qualificazione del capitale umano, è un mondo che non regge più.
Non regge più neanche un'impresa lontana e nemica dell'etica, come dimostrano gli scandali che quotidianamente sconvolgono le aziende italiane; l'impegno imprenditoriale di Adriano Olivetti era invece tutto impregnato di valori spirituali e limiti etici, istanze etiche che gli costarono non poche incomprensioni, sarcasmi, sofferenze e isolamento fino alla sua prematura scomparsa, ma che sono un retaggio tuttora attualissimo per il presente e il futuro dell'Italia.
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